giovedì 26 aprile 2012

25 Aprile e 2 Giugno: libertà di fare i conti con il passato in maniera serena

“E ora tocca a voi battervi gioventù del mondo, siate intrasigenti sul dovere di amare, ridete di coloro che vi parleranno di prudenza di convenienza, che vi consiglieranno di mantenere il giusto equilibrio. La più grande disgrazia che vi possa capitare è di non essere utili a nessuno, e che la vostra  vita non serva a nulla”.
(Raul Follerau)

Nel nostro paese, abbiamo avuto una terribile e dolorosa guerra civile (tra fascisti e antifascisti) che è finita, simbolicamente, con la Liberazione del 25 Aprile e la proclamazione della Repubblica del 2 Giugno. Una parte degli italiani rimase fedele al regime, ingloriosamente crollato tra le bombe che distruggevano le nostre città, un’altra parte (per la verità molto esigua) imbracciò i fucili e raggiunse la Resistenza sulle montagne, un’"ampia zona grigia", per usare l’espressione di Renzo De Felice, rimase, scettica e tremebonda, a guardare alla finestra, aspettando la fine della tempesta. Al ritorno del sereno, i cittadini si ritrovarono in uno Stato non più monopolizzato da un solo partito, ma preso in ostaggio da chi si autolegittimava in virtù della Repubblica, della democrazia, dell’antifascismo. Valori che per essere fatti propri della maggioranza degli italiani dovevano anche trovare un riscontro convincente nella quotidianità, in Istituzioni che non discriminassero più nessun settore della popolazione in base alle convinzioni politiche, alle militanze sindacali, alle credenze religiose, ai ruoli sociali, ma facessero sentire a tutti le “benedizioni della libertà”. Per varie ragioni, che sarebbe troppo complesso illustrare in poco spazio, fiducia e affetto per il nuovo ordine politico “resistenziale” non ci sono mai stati, o ci sono stati solo in parte e in certi rari momenti storici. Non tutti gli italiani dicevano “meglio Mussolini colla Petacci, che la Repubblica con ‘sti pagliacci”, ma il 25 Aprile o il 2 Giugno lasciavano freddi i cuori e addirittura chi votava per i partiti antifascisti era spesso infastidito da retoriche repubblicane e da demonizzazioni del passato regime che non corrispondevano al suo vissuto reale.
Non è nostro intento quello di lasciarci andare a vuoti pneumatici di nostalgismo. Noi crediamo doveroso interpretare questa data come un momento di riflessione che non si limiti soltanto ad una pomposa pratica di rievocazione istituzionale. Vogliamo andare ad analizzare e a storicizzare tutti quei tragici avvenimenti che, anche e soprattutto a guerra finita, hanno insanguinato il nostro paese e che per decenni sono stati taciuti. Solo di recente, non senza comportare scomuniche per quei pochi storici che hanno avuto il coraggio di riconoscerli, questi avvenimenti si sono fatti spazio nella memoria condivisa del nostro popolo. Un esempio tangibile è rappresentato dal massacro delle foibe ad opera del compagno Tito, ricordato appena sabato scorso dall’inaugurazione di una piazza a Sinalunga dedicata proprio ai “Martiri delle Foibe”. Italiani uccisi per la sola colpa di essere italiani, in un drammatica sequenza di avvenimenti a cui non vogliamo più assistere.
Oggi la festa della Liberazione serve per ricordare il valore della libertà e che essa non è un valore gratuito che esiste automaticamente o che si mantiene da sola. La libertà va difesa giorno per giorno, perchè ancora oggi nella nostra Nazione esistono persone che non sempre agiscono nel suo pieno rispetto. I giovani sono il futuro ed in questa ottica rappresentano le nuove menti per un domani fondato proprio sui valori di libertà e democrazia.
Sentirsi ripetere che la Resistenza ci ha rimesso all’onor del mondo e che va venerata come il nostro Secondo Risorgimento non rientra invece nella mia visone del mondo. E’ questione di libertà di coscienza, di disaccordo profondo espresso anche da tutti quelli che non si riconoscono nella “versione ufficiale” e  che le alte cariche dello Stato e i partiti nati dai lombi del Cln invece danno della vicenda italiana.
In questi giorni noi portiamo idealmente un fiore sulla tomba del “torto”, dove nessuno ha osato mai, senza gonfaloni e fasce tricolori, perché il diktat resistenziale impone di relegare all’oblio le storie di quei ragazzi che combatterono indossando una divisa e servendo una bandiera, volontariamente e con abnegazione. Storie che vengono rispolverate a piacimento solo quando serve un capro espiatorio da far passare sul patibolo della storia. Fino a quando continueremo ad utilizzare questa data per demonizzare gli avversari politici di oggi, in nome di un qualcosa accaduto ormai 70 anni fa, fino a quando continueremo a dividerci su chi sia giusto ricordare e chi debba essere invece condannato all’oblio, su chi siano stati i veri liberatori, dimostreremo soltanto di essere degli immaturi e di non essere pronti a fare i conti con il proprio passato in maniera serena.



La Segretaria
Gabriella Vannucci

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