lunedì 25 novembre 2013

25 novembre: giornata mondiale contro la violenza sulle donne


Avanti ragazzi! Ce la farete!



Esprimiamo la nostra solidarietà e la nostra umana vicinanza al meraviglioso popolo sardo, colpito da una catastrofe che ci auguriamo non sia quella a cui sia condannata l'Italia tutta. Avanti ragazzi, non è finita, ce la farete!

venerdì 1 novembre 2013

Careggi chiede l'ok per il cambio di sesso nei bambini


Careggi chiede il via libera alla Regione Toscana per il cambio di sesso nei bambini. Noi diciamo no. Questa volta si è superato il limite della decenza e del buon senso.


Il Presidente
Gianni Massai

Priebke: sconcerto e disgusto

martedi 15 ottobre

Dopo tutto il chiacchiericcio mediatico a cui ho assistito esprimo anche io la mia opinione sulla morte dell'ex capitano delle SS Erich Priebke.
Con le sue esequie celebrate, in forma privatissima, nella cappella della Fraternità San Pio X di Albano anche Priebke ha quasi ultimato il suo viaggio terreno. Al rito funebre officiato dai padri lefebvriani, cattolici tradizionalisti, anche in questo senso andati in collisione con la Chiesa ufficiale e in particolare con il Vicariato che aveva negato - fulgido esempio di pietas cristiana - i funerali in una chiesa di Roma, seguirà soltanto la scelta definitiva del luogo dove la sua salma riposerà in eterno. Forse un'urna, se i familiari o chi per loro faranno richiesta di dispensa dall'inumazione.
I sentimenti predominanti in questi giorni dopo la sua morte per lo spettacolo macabro e grottesco (parole di Cacciari) messo in onda dai suoi nemici viventi sono lo sconcerto e il disgusto.
Quando non si ha rispetto per la morte, chiunque essa colpisca, non si ha rispetto nemmeno per se stessi. Non è mia volontà censurare o biasimare chi mette in discussione le opere, la vita di chiunque altro: nessuno lo vieta. Ma nessuno può - o almeno non dovrebbe - vietare biasimo, affetto, odio o amore e anche su Priebke è normale che si possa esprimere un giudizio, qualunque esso sia: negativo, postivo, neutrale. Ma non si può, né si deve - se si è parte della comunità degli esseri umani - vilipendere un morto. E' vergognoso.
Anche queste poche righe vogliono rispettare i morti. Non solo Priebke, ma anche i civili falciati nella rappresaglia alle Fosse Ardeatine e nell'attentato vigliacco di via Rasella, all'origine di questa tragedia che sembra ancora non debba vedere la parola fine.


Il Presidente
Gianni Massai

Viviamo dentro una bolla di ipocrisia

martedi 1 ottobre

Nel documento finanziario presentato il 20 settembre da Letta e dal suo ministro dell'Economia si legge chiaro e tondo che siamo in coda alla ripresa europea, mentre il terzo trimestre ha visto una crescita della ricchezza dei paesi euro superiore alle previsioni. L'Italia insomma va esattamente nella direzione opposta e contraria, il Pil è peggiorato rispetto a quanto preventivato. E non si venga a dire che sono stati i tassi di interesse,perché il nostro sforamento del deficit dipende per il 75 per cento dalla congiuntura economica. La situazione quindi è che il Pil cresce di meno e di conseguenze gli introiti fiscali, mentre la spesa pubblica fa sempre il suo sporco dovere: cioè sale.

In queste ore gli stessi che ci raccontavano dell'inutilità di abolire l'Imu adesso si dicono preoccupati che per la crisi di governo saremo costretti a pagare la seconda rata a dicembre. Preoccupazione legittima, ma che proviene dagli stessi che ci avrebbero fatto pagare sia la seconda sia la prima. Ma fateci il piacere.
Si dice, ed è vero, che da oggi per colpa di B. e dei suoi ministri aumenterà l'Iva, l''alternativa però era quella di compensare la tenuta sull'Iva con l'aumento della benzina: sai che risultato. Cambiate il nome, ma sempre di tassa si tratta. A tutti i nostri maestri del pensiero che si stracciano le vesti per la crisi di governo vorrei fare una domanda secca: quale azienda del mondo è oggi in grado di assumere a tempo indeterminato decine di migliaia di dipendenti? La risposta è semplice, è la nostra pubblica amministrazione, complice le manovre messe in piedi da questo governo.

Ma andiamo avanti e pensiamo all'economia reale. Vi sembra normale che la nostra più importante industria pesante (l'Ilva) sia di fatto commissariata e non in grado di lavorare appieno? È normale che il commissario europeo e spagnolo abbia imposto ad una nostra banca (la terza per dimensioni) la ricerca di risorse doppie rispetto al previsto? Quando ad esempio nella stessa Spagna le medesime banche, con ben maggiori guai, se la sono cavate con un prestito europeo, pagato anche dai contribuenti italiani? E' forse colpa della crisi di governo se Telecom e Alitalia stanno per essere acquisite da gruppi stranieri? Ma poi gli stessi che ritrovano interesse a giorni alterni per il nostro peso in Europa, non sono i medesimi che vorrebbero politiche protezionistiche?

Viviamo in una gigantesca bolla di ipocrisia. Si preannuncia l'arrivo delle cavallette su quel che resta del raccolto economico italiano. Ma è una balla. Come lo era quella dello spread, calato solo per l'intervento di Mario Draghi. L'economia italiana ha bisogno di uno choc e non saranno quattro mosse di buon senso messe in campo da un governo democristiano a procurarlo. Come non sarà una crisi di governo a peggiorare la nostra condizione. Il vero punto di domanda piuttosto è un altro. Davvero si crede che nuove elezioni creino una maggioranza tale da poter dare una sferzata al nostro molle e timido corpaccione statale? È un dubbio legittimo. Mentre è una certezza che con questo governo di larghe intese non si va da nessuna parte.


Il Presidente
Gianni Massai

Corro al supermercato

domenica 29 settembre

C’è una cosa che farò in futuro: quella di guardare attentamente sugli scaffali del supermercato nel settore pasta e appena possibile acquistare la pasta Barilla. Non perché sia un esperto di qualità e prezzi, tutt’altro, ma piuttosto perché in qualche modo devo premiare una persona che, a differenza della massa, dice quello che pensa. Invece, la massa, (a volte) pensa ma non dice, o dice quel che dicono gli altri a patto che gli altri siano in tanti. Gli altri in pochi si snobbano. Una volta questo atteggiamento sarebbe stato chiamato viltà, oggi invece si dice politically correct.

Barilla si è limitato a dire che i suoi spot pubblicitari, quelli della famiglia felice fatta di mamma, papà e bimbi sorridenti, non potranno subire una mutazione e prevedere papà, papà e bimbi felici, o mamma, mamma e bimbi felici, o papà (che fa la mamma), mamma (che fa il papà) e bimbi felici. In TV sarà come la prevede la natura e come non la prevedono – nella loro testa pericolante – la maggioranza di tutti quei sepolcri imbiancati che, per darsi un tono sui giornali e disquisire con i fessi che li frequentano davanti all’aperitivo del Just Cavalli, attaccano le affermazioni di Barilla come idee razziste, fasciste e chissà che cos’altro.

Poi getto uno sguardo al telegiornale e mi accorgo che devo nuovamente andare al supermercato. Sento che Barilla, italiano postbellico fino in fondo, ha ritrattato. Chiede scusa ed afferma che deve studiare di più, deve prendere cognizione della presunta ”evoluzione della famiglia”. Un armistizio, in fondo, ma un armistizio – more solito – che prevede un nuovo alleato (che era il nemico) ed un nuovo nemico (che era alleato). Riceverà infatti una delegazione di gay e farà pace davanti ad uno spaghetto.

Che delusione! Corro subito al supermercato. Ci sarà un produttore di risotti deciso a non rendersi ridicolo e a stare zitto?


Il Presidente
Gianni Massai

Tempo di falchi? No. Di quaglie

mercoledi 18 settembre

Vedo che nel panorama politico nazionale abbondano i falchi, ma mancano purtroppo i falconieri che li comandino, che gli diano la giusta direzione. E' l'ennesima dimostrazione della debolezza di una classe politica poco pratica a percorrere strategie più lunghe di qualche settimana. Si recita a soggetto e il soggetto dura pure poco.
Il PD non vede l'ora che arrivi il ricalcolo milanese per non avere il compito di premere il grilletto contro il governo Letta, mentre il PdL sa la realtà e l'incontrovertibilità di una condanna, ma non riesce ad accettarla. In mezzo ai due c'è l'Italia. E ci troviamo con un governo che nessuno ha la forza di far cadere ma che in pochi avranno interesse a tenere in piedi, un governo che, alla resa dei conti, non governa e campa di rinvii continui.
Sono tempi di pavidi questi, tempi di mezzucci, tempi di mezze calzette. Più che dei falchi insomma è il momento delle quaglie. 


Il Presidente
Gianni Massai

Al capolinea della povertà e del degrado

giovedi 12 settembre

Siamo giunti al capolinea? Forse, ma non è detto che il precipizio sociale, economico e politico sia davvero arrivato. Il tentativo o la volontà di chi non vuol vedere è di far credere che la fermata del capolinea si trovi un po’ più in là. E’ triste vedere il nostro Paese non più in grado di garantire l’ascensore sociale attraverso lo studio e soprattutto il lavoro: ci si trova ormai poveri ancor prima di cominciare e senza speranza di progettualità della propria vita, a meno di scegliere la via dell’illegalità, ma anche in questo campo c’è parecchia concorrenza vista la forte presenza di immigrati. Si è ormai considerati poveri pur lavorando (quando si ha la fortuna di trovare una occupazione), perché l’offerta è sempre più al ribasso. Insomma, prendere o lasciare. Di chi è la colpa di questo sfacelo sociale? Probabilmente della globalizzazione, ma soprattutto dei Paesi che hanno rinunciato alla loro sovranità monetaria, economica e politica.
E il caso dell’Italia che ha aderito all’euro è emblematico. Non solo ci ha ridotto salari e pretese di dignità di vita ma ci ha portato in dote scippi, furti, borseggi, omicidi, spaccio, aggressioni a mano armata nelle ville e prostituzione alla luce del sole. Abbiamo già la nostra criminalità, perché importarne altra? Nessuno vuol impedire alla gente di muoversi da un paese all’altro in cerca di una vita migliore ma questo non deve portare all’azzeramento della vita degli altri. L’insicurezza e il degrado sono in costante crescita, soprattutto nelle grandi città. Di chi è la colpa? Logicamente della classe politica inadeguata che nel 2002 ci ha fatto questo “regalo” ed i risultati, dopo 11 anni di euro-cura, sono sotto gli occhi di tutti: retribuzioni miserrime, precarietà che ci accompagna fino alla vecchiaia e scivolamento verso il degrado e l’insicurezza. Al contrario per gli autori di questo sfacelo sociale la pacchia continua, tra un privilegio e l’altro: stipendi niente male, auto blu, scorte-badanti e vacanze a 5 stelle. Le colpe di Prodi, Ciampi, Andreatta e di altri esimi professori europeisti sono innegabili, come quelle dei partiti che li hanno sostenuti senza riserve, ma le responsabilità di questo scivolamento verso l’inferno sono bipartisan, non solo di Prodi e D’Alema che si sono alternati a Palazzo Chigi, ma anche di mister B. Quando si è capito che l’abbraccio dell’euro ci stava portando verso la morte sociale chi era al comando doveva quantomeno meno proporre un referendum per l’uscita dalla moneta unica, invece anche il Cav ha fatto il compitino, sulla scia degli altri camerieri piddini. Per non parlare poi del voltafaccia vergognoso nei confronti della guerra libica voluta dai francesi per mettere le mani sui pozzi petroliferi. Non si può stringere un patto con Gheddafi e poi andare a bombardarlo, come adesso non può venire a chiedere l’aiuto degli elettori dopo essere stati in grado di fare poco per il Paese. Non è stato un comportamento molto diverso da quello dei camerieri Prodi e D’Alema, anche se gli va senz’altro riconosciuto il forte legame con Putin, uno dei pochi punti fermi di questo terzo millennio, in virtù del quale abbiamo avuto il gas russo a prezzi di favore.
Tornando all’attualità politica non è per niente certo che la decadenza di mister B sia cosa fatta. Il voto in Giunta del Senato potrebbe anche slittare per evitare la caduta del governo, che conviene al Pd come al PdL, senza contare che Napolitano fa da collante. L’uno ha bisogno del nemico, l’altro ha necessità di una spalla per proseguire la sceneggiata che dura da quasi 20 anni.
E intanto il Paese affonda nella povertà e nel degrado.


Il Presidente
Gianni Massai

mercoledì 4 settembre 2013

Pensioni da fame e pensioni d'oro



Essere andati in pensione per poi trovarsi a dover morire di fame. Questo il destino che accomuna milioni di italiani, quasi sette milioni e mezzo, che ricevono meno di 1000 euro al mese. Una cifra ridicola dopo una vita di duro lavoro, che non permette sicuramente di condurre un livello decente di vita. Dall’altro fronte ci sono invece ben novecentomila persone che incassano più di 3000 euro al mese, cifra per difetto perché sono innumerevoli quelli appartenenti a categorie privilegiate, tipo ex gerarchi politici e al tempo stesso ex dirigenti di aziende pubbliche o dello Stato, che si sono ritagliati una pensione ad hoc ben sopra i 20000 euro. Situazioni che gridano vergogna e che a meno di un salutare colpo di mano da parte del Parlamento, impensabile viste le premesse, continuerà a persistere grazie anche alle sentenze di un’altra casta, quella dei magistrati, che difendendo i politici difendono loro stessi. Volendo fare un po’ di numeri, emerge che il 52,9% dei pensionati sono donne ma che il 56,1% della spesa è assorbito dalle pensioni degli uomini. L’importo medio annuo delle pensioni degli uomini è infatti di circa 14.500 euro contro gli 8.700 euro delle donne. Anche tra i pensionati sopra i 3.000 gli uomini fanno la parte del leone, 700 mila contro 200 mila. Una realtà ben conosciuta ma che i dati ufficiali dell’Inps hanno il merito di riportare all’attenzione dei cittadini per ribadire non soltanto le ingiustizie in campo pensionistico, ma anche l’esistenza di due Paesi ben separati e distanti l’uno dall’altro. C’è anche da segnalare che l’Inps, un tempo in attivo finanziario tra entrate ed uscite, dopo l’incorporazione dell’Inpdap si trova in perenne rosso. Si moltiplicano quindi le pressioni interessate per spingere ed obbligare i lavoratori attivi a rivolgersi ad una previdenza complementare che, a differenza dell’Inps ed essendo privata, finirà per trasferire sulle spalle del lavoratore il peso di una eventuale bancarotta che non può essere esclusa a priori. La situazione economica dei pensionati si è poi ulteriormente aggravata con la recessione in corso che sommata all’inflazione ha fatto crollare il potere d’acquisto. Milioni di famiglie, già penalizzate da tasse odiose e odiate come l’Imu e l’Iva, si sono trovate così in una situazione tragica che soltanto la politica, presa dal problema della propria sopravvivenza, sembra non vedere. Eppure, e il passato lo dimostra, è proprio da situazioni di povertà e di disagio come l’attuale, che nascono le rivolte di piazza e molto spesso pure le rivoluzioni.



Il Presidente Emerito
Gianni Massai

I campioni delle chiacchere

mercoledi 31 luglio

Da quando tutti invocano la politica del fare, trionfa quella del dire. I leader non si giudicano più dalle loro opere, che d'altronde non si vedono, ma dalle chiacchiere in cui sono impegnatissimi.
All'avanguardia nelle discussioni senza costrutto sono le sinistre, in particolare il Pd, ma non scherza nemmeno il Movimento 5 stelle, ormai cadenti nell'indifferenza.

Noi poveri tapini che seguiamo i notiziari tv ci tocca sorbire, dopo venti minuti di Papa Francesco che abbraccia bambini e accarezza handicappati in sedia a rotelle, un quarto d'ora di dichiarazioni progressiste (sinonimo di pallose). Guglielmo Epifani spiega che il segretario del partito può essere Tizio (cioè lui stesso) e il candidato premier può essere Caio, uno qualunque purché non gli rompa le scatole. Difficile dargli torto. Ed ecco inquadrata Rosy Bindi, la vergine da Sinalunga, di nero vestita, che dà l'impressione, nonostante non si capisca dove vada a parare, di non essere d'accordo con il reggente Epifani.

Poi appare sullo schermo Dario Franceschini, che da quando si è fatto crescere la barba si ascolta più volentieri a prescindere da quello che dice e, in effetti, non dice niente, ma non importa. Quindi è la volta di Pippo Civati, il quale, interrogato sulle regole che gli ex comunisti ambiscono a darsi allo scopo di affrontare con serenità il futuro, precisa anzitutto di non essere un «fighetto». Ci sforziamo di credergli sulla parola, però più lo guardiamo e più ci convinciamo che un po' fighetto lo è davvero. Ci aspettiamo un suo giudizio sulle regole, ma invece lui sorvola.

Finalmente si appalesa sul video Enrico Letta e pensiamo: adesso capiremo dove va il Pd. Lui viceversa pronuncia un paio di frasi di circostanza e ne sappiamo quanto prima: il governo - annuncia il presidente del Consiglio con tono solenne - andrà avanti per la sua strada. Dove arriverà? Da nessuna parte, gira a vuoto per non scontentare la maggioranza composita ed eterogenea. In effetti gli esecutivi sopravvissuti a lungo sono proprio quelli che hanno avuto l'accortezza di rimanere immobili. La copertura televisiva sulle tribolazioni dei progressisti si conclude con due pezzi forti. Nel primo Pier Luigi Bersani, discettando circa l'imminente sentenza della Cassazione riguardante l'imputato Silvio Berlusconi, asserisce che il partito si riserva di esaminare il verdetto, poi deciderà il da farsi. Vabbè. Nel secondo pezzo forte, Matteo Renzi, sorridente, si lascia sfuggire un concetto fondamentale: sono a disposizione del Paese, ma non mi presto a giochi di potere, non mi interessano.

Ottimo, il sindaco di Firenze. Tutti gli riconoscono di essere un abile comunicatore e anche noi non sfuggiamo a questo giudizio. Ma quando avrà terminato di comunicare e magari dovrà prendere in mano il pallino come si comporterà? Quali sono i suoi propositi e con quali risorse intende realizzarli? Mistero. In questa fase anche lui, pur con maggior brillantezza rispetto ad altri, si adegua al blateramento generale. Si barcamena. Attende. Che cosa? Che lo chiamino per disperazione alla guida del Pd? Che si creino le condizioni per mettere in piedi un partito nuovo in grado di raccattare consensi a sinistra, a destra e al centro? Che la corona gli cada in testa dal cielo? Che Berlusconi condannato gli consenta di occupare spazi per sostituire Letta al timone?

Per il momento prevalgono le ciance. Si tira la corda. Ci si avvita sui soliti discorsi astratti che allontanano, disgustandoli, i cittadini dalla politica. In soccorso dei politicanti disorientati e incapaci di scelte concrete, oggi come ieri e come sempre, giungono le vacanze. La bottega parlamentare chiude per ferie. Rimane aperta la portineria del Palazzo, giusto per garantire al gossip di continuare a rovinarci la visione dei telegiornali.


Il Presidente Emerito
Gianni Massai

Non m'importa nulla dei processi di Berlusconi

sabato 13 luglio



Il Il mio stato d’animo attuale sull'attesa dei processi di Berlusconi? Non m’importa nulla né dei processi, né delle sentenze che verranno decise. Quando vedo su un giornale un articolo sulle traversie giudiziarie del Cavaliere non lo leggo più. E molti amici confessano di reagire nel mio stesso modo. Scarto subito i fondi giacobini che Ezio Mauro incide sulla prima pagina della sua Repubblica. Lo stesso faccio con le arringhe difensive delle amazzoni del Cavaliere, come l’ardente Daniela Santanchè e la battagliera deputata Michaela Biancofiore che intende chiedere alla Corte di giustizia europea di prendersi cura del povero Silvio.
Oso dire che anche il grido di guerra lanciato da Maurizio Gasparri mi lascia completamente indifferente. Amici del Pdl, volete dimettervi tutti dal Parlamento nel caso che il Cav venga privato del diritto di fasi eleggere? Ok, regolatevi come vi pare, ce ne faremo una ragione. Guardatevi piuttosto dall’ira dei vostri elettori che vedrebbero il loro consenso buttato nella spazzatura.
Lo stesso vale per tutte le iniziative anti-Cav dei democratici, a partire dal loro leader pro tempore, Guglielmo Epifani, costretto dalle circostanze a fare la faccia feroce. E vorrei dire ai capi del Pd: pensate piuttosto a non sbranarvi a vicenda, perché anche le vostre guerre interne ci danno la nausea. E servono soltanto a rendervi indigeribili persino ai più tenaci dei vostri elettori.




Il Presidente Emerito

Gianni Massai

La patria dei provincialismi

venerdi 5 luglio

E' più facile abolire lo Stato italiano che la Provincia di Isernia. Per una serie di ragioni, più una principale. Per cominciare ogni volta che vuoi abolire una provincia non scendono in piazza euforici gli italiani, ma scende furiosa in piazza solo la parte lesa, la Provincia condannata a morte. Compatta. Presidenti, sindaci, prefetti, partiti e sindacati, curia e Pro loco, perfino il maresciallo e il parroco. E i dipendenti, tutti casi umani. Poi si oppone, come è ovvio, il parlamentare locale che trascina un pezzo del suo partito.
Poi si oppone, come è suo mestiere, l'opposizione. Poi lo vieta, come s'è visto, la Corte costituzionale. Ma non basta. Se vuoi sopprimere le Province più piccole, intervengono il Telefono azzurro, il Tribunale dei minori, poi la Caritas e non è escluso un accorato appello del Papa. Si oppone anche la capitaneria di porto perché è vietata la strage di novellame, che riguarda appunto i pesci piccoli come le province minori. Sul piano filosofico si oppone Emanuele Severino che sostiene l'eternità di tutti gli enti e dunque l'impossibilità di ridurre l'essere al niente, fosse pure la piccola Provincia d'Isernia.
Ma la ragione principale è che siamo un Paese provinciale, la nostra gloria e la nostra miseria sono nella provincia. Il provincialismo è la nostra vera essenza e la nostra cultura. Per definire l'Italia pure Dante usò due parole chiave: provincia e bordello. Siamo rimasti un Paese dantesco, in ambo i lati.



Il Presidente Emerito

Gianni Massai

mercoledì 3 luglio 2013

Fight Club - Oltre il cinema

Mercoledi 3 luglio ore 21, presso i locali della mensa universitaria Sant'Agata a Siena (Zona Porta Tufi)






giovedì 27 giugno 2013

Comunicato stampa giovedi 27 giugno 2013



Ho assistito allo scambio di battute al vetriolo fra Claudio Nannini, coordinatore comunale del PdL, e Angelina Rappuoli, consigliere comunale della Lista Civica Angelina per Sinalunga, avvenuto su Facebook nei commenti al precedente Comunicato Stampa di Fratelli d’Italia (https://www.facebook.com/notes/gianni-massai/comunicato-stampa-fratelli-ditalia-24062013/534437366592991) e francamente devo riconoscere che guardarsi l'ombelico non è esclusiva della ex maggioranza comunale del PD. C'è chi scrive sui giornali, chi si vende come persona riflessiva credendo (o facendo credere) che la riflessione sia un suo atteggiamento esclusivo. Molto banalmente invece i problemi veri che occorre affrontare non sono quelli sulle modalità con cui questa amministrazione comunale ha chiuso i battenti, né quelli relativi alla collocazione politica di qualcuno, non sono quelli sui luoghi dove vengono richieste le dimissioni, né tantomeno il ruolo in sé. Questo modo autoreferenziale di intendere la politica è per sempre superato ed è stato anche la principale molla che mi ha spinto ad uscire dal percorso che avevo intrapreso nel PdL. Sono invece rincuorato dall'esistenza di persone che ho incontrato nel mio cammino e che stanno a fianco delle persone vere, di quelle che soffrono, di quelle che non arrivano alla fine del mese, di quelle che altrimenti potrebbero rischiare di occupare le pagine di cronaca di qualche giornale (come sempre più spesso abbiamo purtroppo letto nel recente passato). Stare comodamente seduti a commentare con aria di superiorità non è certo il modo per risolvere i problemi che quotidianamente le persone incontrano. C'è invece bisogno di stare in mezzo alla gente, di mettersi a loro disposizione, perché per fare Politica non è possibile non considerare l'individuo, accompagnandolo soprattutto nei percorsi più dolorosi del corpo e dello spirito. Un altro dato oggettivo è che la classe politica (civica o partitica) non è stata negli ultimi vent'anni all'altezza della situazione e questo ha fatto allontanare giovani e adulti, come qualcuno potrà meglio ricordarsi pensando alle ultime politiche. Non è insomma la Politica che ha fallito, ma la classe politica e occorre marcare la distinzione. Nella mia convinzione, che è anche quella del gruppo che ho costruito, fare Politica deve significare sacrificare qualcosa di sé per aiutare gli altri, perché vale sempre la pena di impegnarsi per migliorare la realtà che abbiamo di fronte. Il percorso che tutto il mio gruppo ha intrapreso è basato principalmente su poche ma chiare cose: merito, partecipazione, cambiamento, onestà, rinnovamento. Da qui occorre ripartire per far nascere le politiche che possono amministrare un territorio come il nostro, ricco ma immensamente trascurato. Il lavoro, le tasse, i servizi, il benessere percepito, hanno infatti un urgente bisogno di essere declinati con un atteggiamento diverso, se davvero vogliamo dare risposte alla gente. Troppo semplicistico parlare separatamente di Fiera, buchi sulle strade, bollette che aumentano, Imu, lavoro, quando invece le risposte da dare devono comprendere una visione del mondo completamente diversa in cui tutto questo deve far parte di un disegno organico,  deve essere considerato come sfaccettature diverse di un modo di vedere le cose altrettanto diverso. Con le nuove elezioni a maggio del prossimo anno, se i cittadini daranno fiducia a quello che io stesso e il mio gruppo abbiamo costruito, allora potremo dire che per la prima volta a Sinalunga sarà primavera. In caso contrario sarà stato bellissimo combattere per affermare dei principi, delle idee, una visione del mondo. State comunque sicuri che non si può fermare la primavera tagliando tutti i fiori.



Il Presidente
Gianni Massai