mercoledì 4 settembre 2013

Pensioni da fame e pensioni d'oro



Essere andati in pensione per poi trovarsi a dover morire di fame. Questo il destino che accomuna milioni di italiani, quasi sette milioni e mezzo, che ricevono meno di 1000 euro al mese. Una cifra ridicola dopo una vita di duro lavoro, che non permette sicuramente di condurre un livello decente di vita. Dall’altro fronte ci sono invece ben novecentomila persone che incassano più di 3000 euro al mese, cifra per difetto perché sono innumerevoli quelli appartenenti a categorie privilegiate, tipo ex gerarchi politici e al tempo stesso ex dirigenti di aziende pubbliche o dello Stato, che si sono ritagliati una pensione ad hoc ben sopra i 20000 euro. Situazioni che gridano vergogna e che a meno di un salutare colpo di mano da parte del Parlamento, impensabile viste le premesse, continuerà a persistere grazie anche alle sentenze di un’altra casta, quella dei magistrati, che difendendo i politici difendono loro stessi. Volendo fare un po’ di numeri, emerge che il 52,9% dei pensionati sono donne ma che il 56,1% della spesa è assorbito dalle pensioni degli uomini. L’importo medio annuo delle pensioni degli uomini è infatti di circa 14.500 euro contro gli 8.700 euro delle donne. Anche tra i pensionati sopra i 3.000 gli uomini fanno la parte del leone, 700 mila contro 200 mila. Una realtà ben conosciuta ma che i dati ufficiali dell’Inps hanno il merito di riportare all’attenzione dei cittadini per ribadire non soltanto le ingiustizie in campo pensionistico, ma anche l’esistenza di due Paesi ben separati e distanti l’uno dall’altro. C’è anche da segnalare che l’Inps, un tempo in attivo finanziario tra entrate ed uscite, dopo l’incorporazione dell’Inpdap si trova in perenne rosso. Si moltiplicano quindi le pressioni interessate per spingere ed obbligare i lavoratori attivi a rivolgersi ad una previdenza complementare che, a differenza dell’Inps ed essendo privata, finirà per trasferire sulle spalle del lavoratore il peso di una eventuale bancarotta che non può essere esclusa a priori. La situazione economica dei pensionati si è poi ulteriormente aggravata con la recessione in corso che sommata all’inflazione ha fatto crollare il potere d’acquisto. Milioni di famiglie, già penalizzate da tasse odiose e odiate come l’Imu e l’Iva, si sono trovate così in una situazione tragica che soltanto la politica, presa dal problema della propria sopravvivenza, sembra non vedere. Eppure, e il passato lo dimostra, è proprio da situazioni di povertà e di disagio come l’attuale, che nascono le rivolte di piazza e molto spesso pure le rivoluzioni.



Il Presidente Emerito
Gianni Massai

I campioni delle chiacchere

mercoledi 31 luglio

Da quando tutti invocano la politica del fare, trionfa quella del dire. I leader non si giudicano più dalle loro opere, che d'altronde non si vedono, ma dalle chiacchiere in cui sono impegnatissimi.
All'avanguardia nelle discussioni senza costrutto sono le sinistre, in particolare il Pd, ma non scherza nemmeno il Movimento 5 stelle, ormai cadenti nell'indifferenza.

Noi poveri tapini che seguiamo i notiziari tv ci tocca sorbire, dopo venti minuti di Papa Francesco che abbraccia bambini e accarezza handicappati in sedia a rotelle, un quarto d'ora di dichiarazioni progressiste (sinonimo di pallose). Guglielmo Epifani spiega che il segretario del partito può essere Tizio (cioè lui stesso) e il candidato premier può essere Caio, uno qualunque purché non gli rompa le scatole. Difficile dargli torto. Ed ecco inquadrata Rosy Bindi, la vergine da Sinalunga, di nero vestita, che dà l'impressione, nonostante non si capisca dove vada a parare, di non essere d'accordo con il reggente Epifani.

Poi appare sullo schermo Dario Franceschini, che da quando si è fatto crescere la barba si ascolta più volentieri a prescindere da quello che dice e, in effetti, non dice niente, ma non importa. Quindi è la volta di Pippo Civati, il quale, interrogato sulle regole che gli ex comunisti ambiscono a darsi allo scopo di affrontare con serenità il futuro, precisa anzitutto di non essere un «fighetto». Ci sforziamo di credergli sulla parola, però più lo guardiamo e più ci convinciamo che un po' fighetto lo è davvero. Ci aspettiamo un suo giudizio sulle regole, ma invece lui sorvola.

Finalmente si appalesa sul video Enrico Letta e pensiamo: adesso capiremo dove va il Pd. Lui viceversa pronuncia un paio di frasi di circostanza e ne sappiamo quanto prima: il governo - annuncia il presidente del Consiglio con tono solenne - andrà avanti per la sua strada. Dove arriverà? Da nessuna parte, gira a vuoto per non scontentare la maggioranza composita ed eterogenea. In effetti gli esecutivi sopravvissuti a lungo sono proprio quelli che hanno avuto l'accortezza di rimanere immobili. La copertura televisiva sulle tribolazioni dei progressisti si conclude con due pezzi forti. Nel primo Pier Luigi Bersani, discettando circa l'imminente sentenza della Cassazione riguardante l'imputato Silvio Berlusconi, asserisce che il partito si riserva di esaminare il verdetto, poi deciderà il da farsi. Vabbè. Nel secondo pezzo forte, Matteo Renzi, sorridente, si lascia sfuggire un concetto fondamentale: sono a disposizione del Paese, ma non mi presto a giochi di potere, non mi interessano.

Ottimo, il sindaco di Firenze. Tutti gli riconoscono di essere un abile comunicatore e anche noi non sfuggiamo a questo giudizio. Ma quando avrà terminato di comunicare e magari dovrà prendere in mano il pallino come si comporterà? Quali sono i suoi propositi e con quali risorse intende realizzarli? Mistero. In questa fase anche lui, pur con maggior brillantezza rispetto ad altri, si adegua al blateramento generale. Si barcamena. Attende. Che cosa? Che lo chiamino per disperazione alla guida del Pd? Che si creino le condizioni per mettere in piedi un partito nuovo in grado di raccattare consensi a sinistra, a destra e al centro? Che la corona gli cada in testa dal cielo? Che Berlusconi condannato gli consenta di occupare spazi per sostituire Letta al timone?

Per il momento prevalgono le ciance. Si tira la corda. Ci si avvita sui soliti discorsi astratti che allontanano, disgustandoli, i cittadini dalla politica. In soccorso dei politicanti disorientati e incapaci di scelte concrete, oggi come ieri e come sempre, giungono le vacanze. La bottega parlamentare chiude per ferie. Rimane aperta la portineria del Palazzo, giusto per garantire al gossip di continuare a rovinarci la visione dei telegiornali.


Il Presidente Emerito
Gianni Massai

Non m'importa nulla dei processi di Berlusconi

sabato 13 luglio



Il Il mio stato d’animo attuale sull'attesa dei processi di Berlusconi? Non m’importa nulla né dei processi, né delle sentenze che verranno decise. Quando vedo su un giornale un articolo sulle traversie giudiziarie del Cavaliere non lo leggo più. E molti amici confessano di reagire nel mio stesso modo. Scarto subito i fondi giacobini che Ezio Mauro incide sulla prima pagina della sua Repubblica. Lo stesso faccio con le arringhe difensive delle amazzoni del Cavaliere, come l’ardente Daniela Santanchè e la battagliera deputata Michaela Biancofiore che intende chiedere alla Corte di giustizia europea di prendersi cura del povero Silvio.
Oso dire che anche il grido di guerra lanciato da Maurizio Gasparri mi lascia completamente indifferente. Amici del Pdl, volete dimettervi tutti dal Parlamento nel caso che il Cav venga privato del diritto di fasi eleggere? Ok, regolatevi come vi pare, ce ne faremo una ragione. Guardatevi piuttosto dall’ira dei vostri elettori che vedrebbero il loro consenso buttato nella spazzatura.
Lo stesso vale per tutte le iniziative anti-Cav dei democratici, a partire dal loro leader pro tempore, Guglielmo Epifani, costretto dalle circostanze a fare la faccia feroce. E vorrei dire ai capi del Pd: pensate piuttosto a non sbranarvi a vicenda, perché anche le vostre guerre interne ci danno la nausea. E servono soltanto a rendervi indigeribili persino ai più tenaci dei vostri elettori.




Il Presidente Emerito

Gianni Massai

La patria dei provincialismi

venerdi 5 luglio

E' più facile abolire lo Stato italiano che la Provincia di Isernia. Per una serie di ragioni, più una principale. Per cominciare ogni volta che vuoi abolire una provincia non scendono in piazza euforici gli italiani, ma scende furiosa in piazza solo la parte lesa, la Provincia condannata a morte. Compatta. Presidenti, sindaci, prefetti, partiti e sindacati, curia e Pro loco, perfino il maresciallo e il parroco. E i dipendenti, tutti casi umani. Poi si oppone, come è ovvio, il parlamentare locale che trascina un pezzo del suo partito.
Poi si oppone, come è suo mestiere, l'opposizione. Poi lo vieta, come s'è visto, la Corte costituzionale. Ma non basta. Se vuoi sopprimere le Province più piccole, intervengono il Telefono azzurro, il Tribunale dei minori, poi la Caritas e non è escluso un accorato appello del Papa. Si oppone anche la capitaneria di porto perché è vietata la strage di novellame, che riguarda appunto i pesci piccoli come le province minori. Sul piano filosofico si oppone Emanuele Severino che sostiene l'eternità di tutti gli enti e dunque l'impossibilità di ridurre l'essere al niente, fosse pure la piccola Provincia d'Isernia.
Ma la ragione principale è che siamo un Paese provinciale, la nostra gloria e la nostra miseria sono nella provincia. Il provincialismo è la nostra vera essenza e la nostra cultura. Per definire l'Italia pure Dante usò due parole chiave: provincia e bordello. Siamo rimasti un Paese dantesco, in ambo i lati.



Il Presidente Emerito

Gianni Massai