venerdi 5 luglio
E' più facile abolire lo Stato italiano che la
Provincia di Isernia. Per una serie di ragioni, più una principale. Per
cominciare ogni volta che vuoi abolire una provincia non scendono in piazza
euforici gli italiani, ma scende furiosa in piazza solo la parte lesa, la
Provincia condannata a morte. Compatta. Presidenti, sindaci, prefetti, partiti
e sindacati, curia e Pro loco, perfino il maresciallo e il parroco. E i
dipendenti, tutti casi umani. Poi si oppone, come è ovvio, il parlamentare
locale che trascina un pezzo del suo partito.
Poi si oppone, come è suo mestiere,
l'opposizione. Poi lo vieta, come s'è visto, la Corte costituzionale. Ma non
basta. Se vuoi sopprimere le Province più piccole, intervengono il Telefono
azzurro, il Tribunale dei minori, poi la Caritas e non è escluso un accorato
appello del Papa. Si oppone anche la capitaneria di porto perché è vietata la
strage di novellame, che riguarda appunto i pesci piccoli come le province
minori. Sul piano filosofico si oppone Emanuele Severino che sostiene
l'eternità di tutti gli enti e dunque l'impossibilità di ridurre l'essere al
niente, fosse pure la piccola Provincia d'Isernia.
Ma la ragione principale è che siamo un Paese
provinciale, la nostra gloria e la nostra miseria sono nella provincia. Il
provincialismo è la nostra vera essenza e la nostra cultura. Per definire
l'Italia pure Dante usò due parole chiave: provincia e bordello. Siamo rimasti
un Paese dantesco, in ambo i lati.
Il Presidente Emerito
Gianni Massai
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