mercoledì 4 settembre 2013

La patria dei provincialismi

venerdi 5 luglio

E' più facile abolire lo Stato italiano che la Provincia di Isernia. Per una serie di ragioni, più una principale. Per cominciare ogni volta che vuoi abolire una provincia non scendono in piazza euforici gli italiani, ma scende furiosa in piazza solo la parte lesa, la Provincia condannata a morte. Compatta. Presidenti, sindaci, prefetti, partiti e sindacati, curia e Pro loco, perfino il maresciallo e il parroco. E i dipendenti, tutti casi umani. Poi si oppone, come è ovvio, il parlamentare locale che trascina un pezzo del suo partito.
Poi si oppone, come è suo mestiere, l'opposizione. Poi lo vieta, come s'è visto, la Corte costituzionale. Ma non basta. Se vuoi sopprimere le Province più piccole, intervengono il Telefono azzurro, il Tribunale dei minori, poi la Caritas e non è escluso un accorato appello del Papa. Si oppone anche la capitaneria di porto perché è vietata la strage di novellame, che riguarda appunto i pesci piccoli come le province minori. Sul piano filosofico si oppone Emanuele Severino che sostiene l'eternità di tutti gli enti e dunque l'impossibilità di ridurre l'essere al niente, fosse pure la piccola Provincia d'Isernia.
Ma la ragione principale è che siamo un Paese provinciale, la nostra gloria e la nostra miseria sono nella provincia. Il provincialismo è la nostra vera essenza e la nostra cultura. Per definire l'Italia pure Dante usò due parole chiave: provincia e bordello. Siamo rimasti un Paese dantesco, in ambo i lati.



Il Presidente Emerito

Gianni Massai

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