Giovedi 16 maggio 2013
I tecnocrati di
Bruxelles e i loro maggiordomi nazionali, che impongono le politiche del
rigore ai
cittadini europei dietro il ricatto del debito, dovrebbero
ricordare che le grandi rivoluzioni, i conflitti sociali, le guerre,
sono scoppiati per un problema di tasse: dalla fuga degli ebrei
dall'Egitto al crollo della Spagna di Carlo V, dalle sanguinose
repressioni contadine nella Germania del XVI secolo fino alla
rivoluzione francese e a quella americana. E al grande Abramo Lincoln
della schiavitù importava sicuramente, ma la vera causa della guerra
civile americana fu la ribellione degli stati del Sud nei confronti di
una pressione fiscale imposta dal Nord e sempre più insostenibile.
Oggi
viviamo in un sistema in cui la pressione fiscale ha raggiunto livelli
massimi. Per un liberale inglese di due secoli fa, o per un colono
americano in lotta contro la corona britannica, un sistema fiscale come
il nostro che prende la metà di ciò che un cittadino produce, sarebbe
incomprensibile: ai loro occhi noi appariremmo come dei servi della
gleba. Loro avevano la consapevolezza che le tasse non sono un debito,
mentre noi moderni ci comportiamo come se lo fossero. L'idea che noi
cittadini siamo debitori dello Stato è una delle più grandi
manipolazioni culturali del nostro tempo.
L'economista liberale
Milton Friedman ha spiegato che l'unico modo per diminuire le uscite di
uno Stato è diminuire le sue entrate. In altre parole, per diminuire la
spesa pubblica bisogna diminuire le tasse non aumentarle. Il motivo è
facile intuirlo. La civiltà si misura dalla libertà (civile ed
economica), non dalle tasse. È bene che i tecnocrati di Bruxelles se lo
ricordino se non vogliono che l'Europa salti in aria come una
polveriera.
Il Presidente
Gianni Massai
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