lunedì 21 marzo 2011

La lunga mano dietro alle guerre in Libia, Afghanistan e Iraq

Dopo l’avallo della comunità internazionale, incassato a Parigi dal vertice Europa-Lega Araba, è partita la prima offensiva a Gheddafi con le incursioni aree dei soliti missili da crociera tomahawk, quelli che gli americani definiscono “intelligenti” e dalla “precisione chirurgica”. Sono i missili che l’opinione pubblica “accetta” di buon grado, come se non uccidessero in ogni conflitto migliaia di civili tra errori umani - forse meno intelligenti dei missili - e circostanze varie. La macelleria libica di queste settimane doveva necessariamente essere fermata, su questo non c’è alcun dubbio. Il sanguinario dittatore libico ha dimostrato ampiamente di essere disposto a fare un’ecatombe pur di riprendere il tanto amato potere, ma la scelta di iniziare una guerra con tanto di bombardamenti è quanto meno discutibile.
Nelle prossime settimane capiremo quale sarà l’entità dell’intervento militare e soprattutto cosa ci guadagneranno i paesi protagonisti capitanati dagli USA, che nel caso della guerra in Iraq hanno finito per assumere il controllo dei giacimenti petroliferi e ottenuto contratti per la ricostruzione. Quello che mi chiedo è se sarebbe stato possibile evitare tutti i conflitti a cui abbiamo assistito negli ultimi anni. In Iraq e Afghanistan era davvero necessario muovere una guerra in grande stile? La diplomazia non poteva fare niente? Sembra impossibile che non ci fossero stati margine di trattativa per evitare il conflitto: Saddam Hussein poteva essere messo alle strette, essere costretto all’esilio, se solo ci fosse stata veramente la volontà di evitare la guerra. Non avrebbe mai potuto pensare di resistere alla potenza militare statunitense e aveva anche dato l’impressione di voler evitare il conflitto accettando le ispezioni dell’Onu e il disarmo dei missili Al-Samoud poche settimane prima dell’intervento militare. Perché, in quel caso, non costringere Saddam alla resa evitando la guerra? L’Onu avrebbe preso il controllo della situazione dispiegando i caschi blu per garantire la sicurezza e ottenere il traghettamento del Paese verso libere elezioni.
Una soluzione simile sarebbe stata auspicabile ieri, ma anche oggi con Gheddafi. Seguendo questo modo di agire però gli Stati Uniti e, in tono minore, i suoi alleati, non avrebbero sicuramente goduto dei “diritti del vincitore”, intesi come concessioni petrolifere e ricostruzione, ma sarebbe stata risparmiata la vita di migliaia di civili e anche quella di moltissimi militari che sono, ricordiamolo, persone anche loro, alcuni con una famiglia, altri giovani costretti ad imbracciare un fucile. Sarebbe stata risparmiata la vita anche a migliaia di giovani militari, ragazzi in molti casi arruolati nelle aree depresse, dove la disoccupazione è altissima e i governi riescono a fare man bassa di giovani che poi mandano a morire lontano da casa. Di questo argomento ne parla il celebre docu-film di Micheal Moore, che mostra i “reclutatori” dell’esercito avvicinare i giovani mostrando loro i benefici dell’arruolarsi nell’esercito: “girare il mondo con uno stipendio ottimo e sicuro”. Invece i dati oggi ci parlano di circa cinquemila morti nelle truppe alleate e, per ogni morto, diverse altre persone rimangono invalide a vita. Ci saremmo inoltre risparmiati scene raccapriccianti come quelle provenienti dal carcere lager di Abu Ghraib, dove i detenuti erano torturati nei modi peggiori che una mente malata può concepire. Ci saremmo risparmiati di vedere gli effetti del fosforo bianco che gli Apache americani hanno utilizzato sui quartieri residenziali di Falluja, facendo letteralmente evaporare i cittadini, “donne e bambini” come usano dire i mass media quando vogliono colpire l’opinione pubblica.
Ora invece tocca alla Libia, al popolo libico già dilaniato da qualche settimana da una guerra civile.
Siamo all’alba dell’ennesima guerra di conquista? Data la presenza del petrolio, non ci sarebbe da meravigliarsi, ma c’è anche di più, cioè la strategia di conquista delle risorse e del potere mondiale. Come ha rivelato il generale Wesley Clark, ex comandante supremo della Nato, si sta procedendo con la sequenza prospettata da Dick Cheney, Segretario alla Difesa di Bush: invasione di Afghanistan, Iraq, Libia, Libano, Sudan, Somalia, Siria e infine Iran. Evidentemente la lista è stata aggiornata, dato che dalla fine del 2009, dopo l’attentato del volo Amsterdam-Detroit, oltre alla Somalia si è iniziato a parlare anche di Yemen, due Nazioni entro cui, guarda caso, si adagia il Golfo di Aden, passaggio obbligato delle petroliere sulla rotta per Suez e, inoltre, sono stati messi in previsione anche i bombardamenti sul Pakistan.
Non scoppia tutta insieme, va avanti progressivamente, ma questa è la terza guerra mondiale.



Il Presidente
Gianni Massai

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