Giorgio Napolitano negli anni '70 |
Napolitano è uno "stabilizzatore di
sistema", non importa quale esso sia. Dai soviet alla tecnocrazia,
dall'Europa della Guerra Fredda a quella delle guerre finanziarie, dal mondo
bipolare a quello multipolare, il carattere politico di Napolitano persegue la
continua ricerca della stabilità contro ogni cambiamento.
La storia del suo protagonismo politico iniziò da
Budapest '56 per una polemica fuori dal tempo. Fu in quel fazzoletto di Europa
sconvolta dalla repressione comunista che il futuro Presidente italiano mostrò
in maniera chiara una caratteristica della sua psicologia politica, che lo
avrebbe accompagnato per sempre.
Mentre i carri armati sovietici schiacciavano le
ossa e la libertà del popolo ungherese e in Italia molti dirigenti comunisti
lasciavano sconcertati il Pci, il giovane Giorgio Napolitano (allora
trentunenne) guidava la normalizzazione voluta da Togliatti, rivendicando la
legittimità dell'intervento sovietico che, a suo dire, evitava "che nel
cuore d’Europa si creasse un focolaio di provocazioni" impedendo "che
l’Ungheria cadesse nel caos e nella controrivoluzione" e contribuendo
"a salvare la pace nel mondo". Certo, da allora di acqua sotto i
ponti ne è passata e Napolitano ha attraversato la storia del comunismo da
protagonista critico. La sua prima condanna dell’Urss avvenne solo con l’invasione
in Afghanistan, ma il percorso verso una socialdemocrazia di stampo europeo lo
fece diventare il principale interlocutore degli americani, il "comunista
preferito", come lo definì Kissinger. Eppure quel tratto che manifestò nel
'56 lo avrebbe accompagnato fino ad oggi: l’idea che ogni ordine formale,
indipendentemente dalla sua natura, vada preservato da ogni crisi.
Negli ultimi due anni è infatti lui l'ispiratore
dei processi storici e politici nel nostro paese ed è sempre lui uno dei pochi
che ha compreso che l'Italia non attraversa una crisi politica, ma di sistema.
Di questo gliene va dato atto. Un'arcaica Costituzione concede sempre meno
strumenti per governare il caos, mentre l’autonomia dei singoli poteri non è
più garanzia di libertà, ma mezzo per condurre guerre trasversali tra i poteri
stessi. Eppure questa consapevolezza non l'ha usata per accelerare il processo
di rinnovamento, piuttosto invece per normalizzare l'esistente.
Se un anno e mezzo fa, di fronte alla crisi e alle dimissioni del governo Berlusconi, avesse guidato la democrazia italiana verso il percorso naturale delle elezioni anticipate, riconoscendo che l'unica sovranità in democrazia è quella popolare, non staremmo a questo punto. Oggi avremmo un governo scelto dai cittadini ed un sistema politico non immobilizzato nella retorica "incapacitante" dei grillini.
Invece ha preferito seguire i consigli di Berlino, di Bruxelles e dei grandi mestatori di questa Europa di banchieri, ha preferito imporre un governo tecnico dietro l'artificio formale di una copertura politica, trasformando un tecnocrate in uno statista, nominandolo senatore a vita da un giorno all'altro. Ha consentito che un governo privo di legittimità sostanziale scaraventasse il Paese in un girone infernale accentuando la crisi politica (oltre a quella economica) e concedendo tempo prezioso ai sentimenti di antipolitica che hanno trasformato Grillo in un fenomeno di massa. Ha voluto imporre una "stabilità" ad un meccanismo ormai incontrollabile dietro la retorica dell'europeismo ideologico. Lo stallo di oggi insomma è figlio dell'errore di ieri.
Ora, alla fine del suo mandato, Napolitano si trova a dover gestire una delle crisi più complicate della storia repubblicana. Non basterà la nomina di qualche saggio di fiducia o l’attendismo per non far esplodere il Pd di Bersani. Il sistema non può reggere l'ennesimo tentativo di stabilizzare ciò che ormai stabile non è più. Sarà un guaio ed entro un anno si tornerà a votare. Gli stabilizzatori sono sempre sconfitti quando vogliono fermare l'instabilità della storia
Il Presidente
Gianni Massai