mercoledi 31 luglio
Da quando tutti invocano la politica del fare, trionfa quella del dire. I
leader non si giudicano più dalle loro opere, che d'altronde non si
vedono, ma dalle chiacchiere in cui sono impegnatissimi.
All'avanguardia nelle discussioni senza costrutto sono le sinistre,
in particolare il Pd, ma non scherza nemmeno il Movimento 5 stelle,
ormai cadenti nell'indifferenza.
Noi poveri tapini che seguiamo i notiziari tv ci tocca sorbire, dopo
venti minuti di Papa Francesco che abbraccia bambini e accarezza
handicappati in sedia a rotelle, un quarto d'ora di dichiarazioni
progressiste (sinonimo di pallose). Guglielmo Epifani spiega che il
segretario del partito può essere Tizio (cioè lui stesso) e il candidato
premier può essere Caio, uno qualunque purché non gli rompa le scatole.
Difficile dargli torto. Ed ecco inquadrata Rosy Bindi, la vergine da
Sinalunga, di nero vestita, che dà l'impressione, nonostante non si
capisca dove vada a parare, di non essere d'accordo con il reggente
Epifani.
Poi appare sullo schermo Dario Franceschini, che da quando si è
fatto crescere la barba si ascolta più volentieri a prescindere da
quello che dice e, in effetti, non dice niente, ma non importa. Quindi è
la volta di Pippo Civati, il quale, interrogato sulle regole che gli ex
comunisti ambiscono a darsi allo scopo di affrontare con serenità il
futuro, precisa anzitutto di non essere un «fighetto». Ci sforziamo di
credergli sulla parola, però più lo guardiamo e più ci convinciamo che
un po' fighetto lo è davvero. Ci aspettiamo un suo giudizio sulle
regole, ma invece lui sorvola.
Finalmente si appalesa sul video Enrico Letta e pensiamo: adesso
capiremo dove va il Pd. Lui viceversa pronuncia un paio di frasi di
circostanza e ne sappiamo quanto prima: il governo - annuncia il
presidente del Consiglio con tono solenne - andrà avanti per la sua
strada. Dove arriverà? Da nessuna parte, gira a vuoto per non
scontentare la maggioranza composita ed eterogenea. In effetti gli
esecutivi sopravvissuti a lungo sono proprio quelli che hanno avuto
l'accortezza di rimanere immobili. La copertura televisiva sulle
tribolazioni dei progressisti si conclude con due pezzi forti. Nel primo
Pier Luigi Bersani, discettando circa l'imminente sentenza della
Cassazione riguardante l'imputato Silvio Berlusconi, asserisce che il
partito si riserva di esaminare il verdetto, poi deciderà il da farsi.
Vabbè. Nel secondo pezzo forte, Matteo Renzi, sorridente, si lascia
sfuggire un concetto fondamentale: sono a disposizione del Paese, ma non
mi presto a giochi di potere, non mi interessano.
Ottimo, il sindaco di Firenze. Tutti gli riconoscono di essere un
abile comunicatore e anche noi non sfuggiamo a questo giudizio. Ma
quando avrà terminato di comunicare e magari dovrà prendere in mano il
pallino come si comporterà? Quali sono i suoi propositi e con quali
risorse intende realizzarli? Mistero. In questa fase anche lui, pur con
maggior brillantezza rispetto ad altri, si adegua al blateramento
generale. Si barcamena. Attende. Che cosa? Che lo chiamino per
disperazione alla guida del Pd? Che si creino le condizioni per mettere
in piedi un partito nuovo in grado di raccattare consensi a sinistra, a
destra e al centro? Che la corona gli cada in testa dal cielo? Che
Berlusconi condannato gli consenta di occupare spazi per sostituire
Letta al timone?
Per il momento prevalgono le ciance. Si tira la corda. Ci si avvita
sui soliti discorsi astratti che allontanano, disgustandoli, i cittadini
dalla politica. In soccorso dei politicanti disorientati e incapaci di
scelte concrete, oggi come ieri e come sempre, giungono le vacanze. La
bottega parlamentare chiude per ferie. Rimane aperta la portineria del
Palazzo, giusto per garantire al gossip di continuare a rovinarci la
visione dei telegiornali.
Il Presidente Emerito
Gianni Massai